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Carmine Torchia ha fatto “Bene”.

La prima volta che ho incontrato musicalmente Carmine Torchia fu durante Musicultura 2012. Premettiamo che non sono un grande estimatore della musica italiana, ma ammetto anche che non la conosco molto bene, in quanto ho sempre prediletto la musica cantata in lingua inglese.
Musicultura è stata per me una piccola rivoluzione perchè ho scoperto che, accanto ai big (che continuano a non incontrare per niente i miei gusti – quelli che passano da San Remo per intenderci), c’è un mondo di musicisti meno noti davvero di grandi capacità, talento e abnegazione. Per amore della musica vivono una vita coraggiosa di sacrifici (e spero per loro anche di grandi soddisfazioni), perchè vivere di musica non è semplice.
Il livello che ho conosciuto a Musicultura è stato davvero alto. Tra questi giovani, o sarebbe meglio dire tra queste giovani leve del festival di Recanati, ho potuto apprezzare anche Carmine che, a distanza di 5 anni dal suo disco d’esordio Mi pagano per guardare il cielo, ci propone un nuovo lavoro: Bene.

Al primo ascolto il disco non mi ha convinto completamente. Di primo acchito Carmine Torchia mi è sembrato snaturato dalla sua dimensione di artista live (o almeno dell’essenza che io percepisco), che da Musicultura in poi ho avuto il piacere di ascoltare in molte altre esibizioni dal vivo. Il disco mi è parso in qualche modo troppo composto, troppo hi-fi . Insistendo però, per fortuna, ho avuto modo di apprezzare anche il lavoro, senz’altro faticoso, legato ai 10 pezzi proposti.

Il disco si apre con Ma che ne so! , canzone dedicata a Piero Ciampi, cantautore toscano non troppo conosciuto, artista, bevitore e maledetto. Una dichiarazione di intenti: pescare da un bacino artistico appunto diverso da quello dei big della musica italiana, chiudendo con Giorno dopo giorno  che ci racconta di come “si può uscire vivi dallo smarrimento”, beh con la musica naturalmente. L’album racconta anche storie più frivole come quella de La cinese e l’italiano o più profonde come le radici di Carmine che affondano a Sersale, piccolo paese della Calabria,  dipinto in Case popolari, pezzo che aveva portato appunto a Musicultura.

Insomma posso dire che, anche se il pezzo  che preferisco in assoluto è quello che chiude i suoi concerti (solo i migliori) e non è inciso in nessuno dei due CD dell’autore: la morte apparente, pezzo basato su testo di un anonimo in dialetto calabrese, dopo avere ascoltato più volte il nuovo lavoro, mi viene da commentare che Torchia,  in effetti, ha fatto di nuovo Bene!

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